Il settore italiano del recupero crediti, che è emerso rapidamente nel 2016 come il più grande e profittevole d’Europa, sta oggi evolvendo. Dopo quasi un decennio dal decreto Renzi, che facilitò il salvataggio di quattro piccole banche mediante la svendita di 360 miliardi di crediti deteriorati, il mercato sta raggiungendo una sorta di equilibrio. Questo processo ha comportato perdite significative per gli azionisti delle banche e i contribuenti, mentre i fondi specializzati hanno tratto notevoli benefici.
Situazione attuale nel mercato degli NPL
Attualmente, il mercato delle Non Performing Exposures (NPE) mostra una certa efficienza, ma è ancora ostacolato da due importanti trend: l’aumento del costo del denaro e i modelli di gestione “zero NPL” imposti a seguito delle direttive della BCE. Inoltre, la resilienza dell’economia italiana, che nonostante le crisi globali continua a evitare la recessione e mostra tassi di default aziendale ai minimi storici, ha determinato un afflusso ridotto di nuovi crediti deteriorati.
A febbraio, il tasso di deterioramento era dell’1,03%, in calo rispetto all’1,22% di due mesi prima. Banca Ifis prevede che questo tasso rimarrà sotto l’1,4% nei prossimi due anni. Nel 2023, le transazioni di NPE sono state pari a 30 miliardi nominali, meno della metà rispetto ai picchi del 2017 e 2018, e si prevede che il volume continuerà a diminuire. Dal 2015, quando i crediti deteriorati ammontavano a 361 miliardi, nelle banche italiane ne rimangono “solo” 60 miliardi.
«Il tasso di deterioramento in Italia è a un livello storicamente basso, ciononostante l’industria del credito deteriorato resta strategica per il Paese», afferma Katia Mariotti, responsabile NPL di Banca Ifis. Gli operatori svolgono attività strategiche su cui le banche tradizionali non riescono più a concentrarsi. Le aziende del settore stanno cercando di reagire tramite fusioni, l’uso della tecnologia per ridurre i costi e l’offerta di servizi a valore aggiunto sui crediti in bonis.
Cosa aspettarci in questo 2024
La primavera di quest’anno ha segnato l’inizio di una nuova fase di riorganizzazione, avviata dall’approvazione governativa dell’acquisizione di Prelios da parte di Ion (ne ho parlato in questo articolo su LinkedIn) e dalle trattative di fusione tra DoValue e Gardant.
Entro la fine dell’anno, ciò dovrebbe portare alla formazione di due poli antagonisti. DoValue è in trattative per inglobare Gardant, che rappresenta una macchina efficiente sotto la guida di Mirko Briozzo e Flavio Valeri, essendosi assicurata forniture decennali di NPE da Banco BPM, BPER e Carige. Gardant, che gestisce 40 miliardi di euro di NPE, è valutata tra 350 e 400 milioni, ben oltre la capitalizzazione di DoValue, che è crollata del 70% in 12 mesi. Questa operazione è più un reverse merger, in cui DoValue accetta di pagare caro per rilanciarsi come leader di nicchia nel Sud Europa.
Sviluppi dai due poli DoValue-Gardant e Ion-Prelios
Nel frattempo, l’assemblea DoValue del 26 aprile rinnoverà il consiglio di amministrazione, con un cambiamento che rifletterà il futuro assetto. Softbank e Bain, che confermeranno solo l’attuale AD Manuela Franchi e altri due membri, nomineranno sette nuovi membri, incluso l’ex DG del Tesoro Alessandro Rivera, consulente di Bain e indicato come presidente. Il nuovo polo unirà i 113 miliardi di DoValue (di cui 70 italiani) con i 40 miliardi di Gardant, più attiva nei crediti “vivi” grazie ai fondi dedicati, come nell’immobiliare.
Il secondo polo, sotto la guida di Andrea Pignataro, ex trader e imprenditore dei dati finanziari, sta acquisendo forma. Dopo Cedacri e Cerved, la sua Ion ha visto sbloccarsi l’acquisizione di Prelios per 1,35 miliardi. Con l’ok di Bankitalia, Ion creerà un gruppo leader nei dati, nel recupero e nei servizi bancari, con 6 miliardi investiti in Italia e oltre 15 miliardi di esposizione debitoria.
Dal 2025, la forza di questi due poli potrebbe attrarre Intrum Italia, che gestisce 40 miliardi di masse. La filiale del colosso svedese sta cedendo crediti a livello globale per ridurre il debito di 5,2 miliardi, preoccupando gli investitori.
Il comportamento dei “follower”
Anche gli operatori minori stanno prendendo provvedimenti: Amco, controllata dal Tesoro con 34,7 miliardi di masse, nel piano 2024-2028 ridurrà le masse a 28,5 miliardi con l’obiettivo di estrarre il maggior valore dal portafoglio esistente.
Ifis, leader nel mercato dei piccoli crediti non garantiti, ha 30 miliardi di masse e sta lavorando sui 6,5 miliardi acquistati da Mediobanca, raggiungendo già gli obiettivi del piano strategico. L’AD presenterà il nuovo piano a inizio 2025, con gli NPE che rimarranno centrali tra le fonti di redditività del gruppo.
Illimity, invece, sta uscendo dal settore. La banca, una delle ultime a investire sugli NPL, sta sondando il mercato per vendere i suoi NPL, valutati sui 300 milioni.
Conclusioni
Il panorama dei crediti deteriorati e del recupero crediti in Italia sta attraversando una fase di profonda trasformazione. La riduzione dei flussi e delle masse gestite è da un lato un bene e obbliga gli attori del mercato a riorganizzarsi.
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Nicola Compagnone