I tre volti del debitore esecutato: un viaggio tra colpa, ignoranza e sfortuna

Dal 2007 vivo dentro i tribunali.

Non per scelta, ma per destino.

Lì, tra corridoi grigi e fascicoli impolverati, ho imparato più sull’animo umano che in qualsiasi aula universitaria.

Ho visto persone perdersi e rinascere, ho visto uomini trasformarsi in numeri di procedura, e numeri che — dietro le righe — nascondevano intere famiglie.

In questi anni ho difeso centinaia di debitori, li ho ascoltati, li ho rimproverati, a volte anche abbracciati.

E ogni volta ho pensato di aver visto tutto.

Poi arriva sempre qualcuno che mi smentisce.

Ma con il tempo, un filo conduttore è emerso.

Una costante che attraversa ogni storia, ogni fallimento, ogni asta.

Ho capito che i debitori esecutati non sono tutti uguali.

Ci sono tre grandi categorie, tre mondi distinti, tre modi diversi di perdere tutto.

E ognuno di loro va affrontato con un linguaggio diverso: chi va aiutato, chi va educato e chi va semplicemente lasciato pagare le conseguenze delle proprie scelte.


1. Il Furbo – Il giocatore del sistema

Lo riconosci subito.

Non abbassa mai lo sguardo.

Ti parla come se la colpa fosse sempre degli altri, come se la legge fosse un ostacolo da aggirare, non un confine da rispettare.

Il furbo entra nel mio ufficio col sorriso di chi pensa di avere tutto sotto controllo.

“Dottò. …., tanto qui basta un rinvio, poi facciamo una società nuova, spostiamo il mutuo, ricompriamo a nome di mio cugino…”

Lo guardo.

Non lo giudico, ma so già che quel discorso finirà male.

Perché il furbo non cerca aiuto, cerca complicità.

Ho imparato che con loro bisogna essere freddi, quasi chirurgici.

Il furbo non ha bisogno di un salvatore, ma di un muro che lo costringa a fermarsi.

Perché il sistema che crede di saper dominare, prima o poi si richiude su di lui.

Sono pochi, ma rumorosi.

Li trovi sempre in prima fila, pronti a lamentarsi del “sistema marcio”, a dire che “le banche rubano”, ma in fondo la loro vita è un gioco d’azzardo dove l’unica regola è non farsi beccare.

Con loro ho smesso di sprecare energie.

Non c’è compassione, non c’è redenzione, non c’è crescita.

Solo il tempo — e qualche condanna — potrà fare quello che né io né nessun consulente potrà mai fare: insegnargli che la furbizia non salva, logora.


2. L’Ignorante – L’uomo buono che non ha capito le regole del gioco

L’ignorante, invece, mi spezza sempre un po’ il cuore.

Non è cattivo. Non è furbo. È solo cieco.

Cieco davanti ai numeri, alle scadenze, ai tassi, alle conseguenze.

È quello che ha vissuto una vita onesta ma confusa.

Ha sempre pensato che “l’importante è pagare qualcosa ogni mese” — senza capire che quel “qualcosa” spesso era solo l’illusione del controllo.

È quello che entra nel mio ufficio con la cartellina piena di fogli stropicciati, mutui, bollette, lettere dell’agenzia delle entrate.

E mentre li appoggia sulla scrivania, mi guarda come se io potessi trasformare la polvere in oro.

“Dottò, io non volevo arrivarci, giuro… ma non sapevo da dove cominciare.”

Lì non serve giudicare, serve educare.

Perché il vero problema di queste persone è la mancanza di educazione finanziaria.

Non sanno che il denaro non è solo carta, ma tempo, libertà, respiro.

Vivono come soldati che combattono ogni mese una guerra contro le spese, senza capire che stanno sparando nella direzione sbagliata.

E non è colpa loro: nessuno gli ha mai insegnato che cos’è un piano di rientro, un bilancio familiare, una rata sostenibile.

Questi sono gli italiani veri, quelli che lavorano, che stringono i denti, ma che si perdono nei numeri.

A loro non serve una mano di pietà, serve una bussola.

Li guardo e penso che la scuola avrebbe dovuto salvarli.

Che se avessero studiato “educazione finanziaria” invece di qualche poesia recitata a memoria, forse oggi non starebbero a pregare un giudice di rinviare l’asta.

Con loro non alzo mai la voce.

Perché ho capito che la colpa più grande di un ignorante non è non sapere, ma non aver mai avuto qualcuno che gli insegnasse.


3. Lo Sfortunato – Il buono che la vita ha colpito senza motivo

E poi ci sono loro.

I veri martiri di questo sistema.

Gli sfortunati.

Sono le persone che hanno fatto tutto nel modo giusto e che, nonostante questo, si sono trovate a perdere tutto.

Li riconosci dallo sguardo: quello di chi non capisce perché sta succedendo proprio a lui.

Padri di famiglia che hanno sempre pagato tutto e che all’improvviso si ritrovano una rata triplicata.

Artigiani che dopo un infortunio non riescono più a lavorare.

Imprenditori travolti da una truffa o da una calamità naturale.

Madri che hanno sacrificato se stesse per dare un futuro ai figli e ora vedono il loro tetto venduto a sconosciuti.

In queste storie non c’è colpa. C’è solo ingiustizia.

E non esiste legge che possa spiegare la crudeltà di un sistema che, dopo averli spogliati di tutto, li insegue ancora per recuperare un credito inesigibile.

È per loro che ho deciso di combattere.

Per loro ho scritto e promosso la mia proposta di legge sull’esdebitazione automatica per chi perde l’immobile per cause di forza maggiore.

Perché non è ammissibile che uno Stato si definisca civile se lascia un uomo perbene in mezzo alla strada e poi gli manda pure l’ufficiale giudiziario a chiedere il resto.

Quando parlo di loro, mi emoziono.

Perché li ho visti con i miei occhi.

Li ho visti entrare in aula tremando e uscire distrutti, ma con la schiena dritta.

Li ho visti chiedere scusa per colpe che non avevano.

Li ho visti piangere in silenzio, senza rancore, solo con il peso della dignità ferita.

E sono loro, gli sfortunati, che mi ricordano ogni giorno perché faccio questo mestiere.

Perché ogni tanto, anche nel fango della burocrazia, si trova ancora un’anima pulita da difendere.


Tre categorie, tre modi di cadere, tre modi di essere uomini

Oggi, dopo quasi vent’anni di aste, posso dire di aver visto tutto, o almeno lo spero!

E se guardo indietro, ogni volto che ho incontrato rientra in una di queste tre categorie.

Il furbo, che non vuole essere salvato.

L’ignorante, che va guidato.

E lo sfortunato, che va difeso fino all’ultimo respiro.

Tre modi diversi di vivere la stessa tragedia.

Tre risposte diverse che la società dovrebbe dare.

Perché non si può curare tutti con la stessa medicina.

C’è chi ha bisogno di una lezione, chi di un maestro, chi di un abbraccio.

E il mio lavoro, ogni giorno, è capire quale di queste tre cose serva davanti a me.


Quando cammino nei corridoi del tribunale e sento l’odore del ferro e della carta, penso sempre la stessa cosa:

che dietro ogni immobile all’asta non c’è una casa, ma una storia.

E che capire quella storia è l’unico modo per restare umani in un mondo che di umano ha sempre meno.

BUONA VITA